Federigo degli Alberighi Giovanni
Boccaccio
Federigo
degli Alberighi, il giovane e nobile cavaliere protagonista di questa novella
d’amore a lieto fine, raffigura quegli ideali di vita cortese e cavalleresca
che all’epoca di Boccaccio apparivano ormai superati. Nella società, infatti,
dei mercanti borghesi del Trecento trionfava la logica del denaro e della
ricchezza. Tuttavia Boccaccio, pur considerando la gentilezza, la nobiltà
d’animo, l’amore puro e delicato, dei valori superati, tipici della mentalità
del passato, non esita a celebrarli in questa sua novella in quanto
costituiscono pur sempre un significativo modello di vita.
Dal
momento che la versione originale presenta parecchie difficoltà di
comprensione, ti presentiamo questa novella nella versione in lingua moderna di
Piero Chiara.
Il giovane Federigo degli
Alberighi1, di nobilissima famiglia fiorentina, bravo nelle armi e
ammirato da tutti per la sua cortesia, si era invaghito di una gentile dama
ritenuta una delle più belle e leggiadre della città. Per farsi apprezzare da
lei, partecipava a tornei e ad altri esercizi cavallereschi, organizzava feste
e si vestiva riccamente, spendendo senza ritegno. La signora, di nome Giovanna,
onesta quanto era bella, pareva non accorgersi di quel che faceva il giovane
per mettersi in vista e acquistar merito ai suoi occhi.
Federigo, non avendo altra
maniera per trovar rimedio alla sua passione, finì col dilapidare il suo
patrimonio, pur senza trovarsi ad aver fatto alcun progresso nella
considerazione della dama.
Non gli era rimasto, nella
rovina in cui era caduto, che un suo poderetto del quale si ridusse a vivere
poveramente, portandosi dietro soltanto un falcone2, che aveva
carissimo e che tutti gl’invidiavano, perché era il migliore del mondo.
In quel luogo solitario,
passava tristemente le sue giornate, avendo per unico svago e anche per unica
risorsa il bel falcone col quale passava le giornate cacciando.
Ora avvenne che mentre
Federigo campava così stantemente la sua vita3, il marito della
signora si ammalò e in breve morì. Rimasta vedova, la donna si dedicò
interamente al suo unico figliolo, che era
già grandicello, ma assai gracile e di cattiva salute. Venuta l’estate, per
rimetterlo in forze, lo portò in campagna, all’aria buona, in un podere di sua
proprietà che era vicino a quello di Federigo.
Il giovanetto, girando per i dintorni, conobbe
Federigo e, incuriosito dalla caccia, cominciò ad andargli appresso e a
frequentare la sua casa, fin che gli divenne amico. Più d’ogni altra cosa, lo
attraeva la caccia col falcone, che seguiva spasimando per il bel rapace,
quando, scattato dal pugno di Federigo, ghermiva le prede a volo e le
riportava, deponendole ai piedi del padrone.
Avrebbe voluto che quel
magnifico falcone divenisse suo, ma non osava domandarlo a Federigo, perché
sapeva quanto costui lo avesse caro.
Invece di aver giovamento della vita all’aria aperta, il ragazzo ne ebbe danno,
perché quel poco di strapazzo della caccia lo indebolì e
lo fece ricadere ammalato.
Sua madre, la quale non aveva altro bene che lui, gli stava intorno tutto il
giorno a curarlo e continuamente gli domandava se c’era qualcosa che potesse
fargli piacere.
Il ragazzo un giorno disse:
«Madre mia, se mi faceste avere il falcone di Federigo, sento che guarirei».
La donna rimase perplessa.
Sapeva quanto Federigo l’avesse amata senza ottenere da lei un solo sguardo, e
si diceva: “Come posso domandargli quel falcone, che a quanto si dice è il
migliore che mai volasse, e oltre a ciò è quello che lo mantiene in vita4?”.
Era certa che se glielo
avesse chiesto l’avrebbe avuto, tanto era nota la gentilezza di Federigo e
tanto poteva contare sulla sua devozione, ma non si decideva a togliergli
quell’unica ricchezza. L’amor del figlio finì tuttavia col deciderla.
«Cercherò di accontentarti»
disse al figlio.
Il malato fu così contento
di quella promessa, che parve subito migliorato.
La mattina seguente, presa
con sé un’altra donna, con l’aria di chi voglia fare una passeggiata, Giovanna
passò dalla casetta di Federigo e lo fece chiamare. Mentre, stupito, il giovane
accorreva dall’orto dove stava intento a piccoli lavori, Giovanna gli si fece
incontro lietamente e gli disse: «Salute Federigo. Vengo a farvi questa visita
per ricambiarvi, un po’ tardi, la gentilezza che mi avete dimostrato amandomi
per tanto tempo senza speranza. Starò, se lo consentite, a pranzo con voi, alla
buona, insieme a questa mia compagna».
«Signora», rispose Federigo
«da voi ho avuto soltanto del bene, perché l’amore che vi ho portato mi ha
fatto grande onore. Vedervi ora qui così amabilmente, mi è più caro di quanto
non mi sarebbe il riavere quanto ho speso amandovi, ma purtroppo questa povera
casa non è degna di voi. Permettete almeno che vada a far mettere un po’
d’ordine e a comandare che si disponga la tavola. Sedetevi intanto con la
vostra amica in giardino, dove la moglie del mio contadino vi
terrà compagnia».
Così detto entrò in casa,
andò nella cucina e si rese conto che non vi era nulla da portare in tavola,
altro che rape e qualche insalata. Avrebbe potuto mandare a comprare qualcosa
al paese vicino, ma si accorse di non avere neppure un soldo in tasca.
Guardandosi intorno in cerca di qualche ispirazione, gli caddero gli occhi sul
suo falcone, che se ne stava appollaiato sopra una stanga. Senza un istante d’esitazione
lo prese e, trovandolo grasso e di buon peso, pensò di poterlo cucinare. Gli
tirò il collo, lo fece spennare e ordinò alla donna di cuocerlo allo spiedo.
Apparecchiò intanto la tavola con una bella tovaglia che aveva salvato dai
creditori e, passata una mezz’ora, andò in giardino e con un gesto da gran
signore invitò e due donne alla mensa.
Fu subito portato in tavola il falcone che, ben cotto com’era e
privato della testa e delle zampe, pareva un fagiano. Federigo scalcò5
l’animale e servì le donne delle parti migliori, poi se stesso.
Mangiato che ebbero,
Giovanna diede inizio a una piacevole conversazione, nel corso della quale, quando le parve venuto il momento
giusto, disse a Federigo: «Ora vi debbo dire la vera ragione per la quale vi ho
fatto questa visita. Forse, ricordando la mia riservatezza, che voi avrete
giudicato durezza d’animo e crudeltà, troverete strano il passo che ora sto per
compiere. Chi non ha figlioli non può capire cosa si arriva a fare per le
proprie creature. Ma forse voi, che
siete uomo di grandi
sentimenti, potrete comprendere il mio stato d’animo. È per lui, per mio
figlio, che sono qui a chiedervi un dono che vi sarà difficile fare, perché si
tratta dell’unica consolazione che voi abbiate nella solitudine in cui vivete.
Si tratta del vostro falcone. Mio figlio, che è ammalato, si è tanto invaghito
del vostro falcone, che se non glielo porto si aggraverà e potrà anche morire.
Perciò vi prego, per l’amore che mi portate, che mi facciate questo dono con la
generosità che avete sempre mostrato. Mio figlio riavrà la sua salute ed io vi
sarò per sempre obbligata».
Federigo, che aveva i
sudori freddi pensando al falcone che avevano appena mangiato, incominciò a
piangere in silenzio. Giovanna, convinta che quel pianto fosse dovuto al
dispiacere che il giovane provava nel separarsi dal suo falcone, era quasi
pentita del suo ardire e
stava per rinunciare al
dono.
Federigo allora,
trattenendo a fatica le lacrime, disse: «Signora, da quando Dio volle che io vi
amassi, in molte cose ho avuto contraria la fortuna. Ma erano cose da nulla
rispetto a ciò che oggi mi accade.
Quand’ero ricco non vi
degnaste mai di entrare nella mia casa, ma ecco che ora siete venuta in questo
mio povero luogo a chiedermi un piccolo dono che non vi posso fare. Io, che per
voi ho dato tutto quanto avevo! Sappiate che appena siete arrivata qui e mi
avete chiesto di desinare, per riguardo al vostro valore6 ho deciso
di mettervi cotto sul tagliere la cosa che più mi era cara e preziosa: il
falcone. Vedendo ora che lo volevate vivo, il dispiacere di non potervi
accontentare è così forte che non mi darà più pace».
Poi andò in cucina, prese
le penne, le zampe e il bello del falcone e li mise davanti a Giovanna; questa
lo rimproverò d’aver sacrificato un simile animale per darle da mangiare, ma
non poté tuttavia far a meno di ammirare la sua grandezza d’animo.
Triste e sconsolata, se ne
partì e tornò dal suo figliolo, il quale per il suo disappunto di non aver
avuto il falcone e per la gravità del male che lo aveva colpito, si aggravò e
dopo alcuni giorni morì.
Giovanna, dopo lunga
sofferenza, trovandosi sola, ricchissima e ancor giovane, venne consigliata dai
suoi fratelli a rimaritarsi. Per alcun7 tempo non volle sentirne
parlare, parendole finita la vita sua. Ma davanti alle insistenze di tutto il
parentado e dovendosi in qualche modo risolvere, avendo sempre presente la
grandezza d’animo dimostratale da Federigo, disse che solo lui avrebbe sposato.
I fratelli, sapendolo povero, non furono d’accordo e le suggerirono parecchie
altre persone facoltose8. Ma Giovanna fu irremovibile.
«Fratelli miei», disse «so
benissimo in quali condizioni è ridotto Federigo degli Alberighi, ma preferisco
un uomo che abbia bisogno di una ricchezza a una ricchezza che abbia bisogno di
un uomo».
I fratelli, vinti da un tale atteggiamento, finirono per cedere e
diedero in sposa a Federigo la loro sorella, con tutto il suo patrimonio. Divenuto
saggio amministratore della sua nuova ricchezza9, Federigo visse in
letizia con Giovanna fino alla fine dei
suoi anni, benedicendo il giorno in cui aveva tirato il collo al suo bel
falcone.
(da G. Boccaccio, Decamerone, dieci
novelle raccontate da Piero Chiara, Mondadori, Milano)
1. Alberighi: antica
e nobile famiglia fiorentina.
2. falcone: falco addestrato
per la caccia agli uccelli.
3. campava... vita: trascorreva
la vita così poveramente, in grandi ristrettezze.
4. lo mantiene in vita:gli
procura di che vivere 5. scalcò: spezzettò,
fece a pezzi.
6. valore: qualità
umana e morale.
7. alcun: qualche.
8. facoltose: ricche.
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