martedì 29 ottobre 2013

Il problema immigrazione

Materiale del laboratorio del martedì e poesia. 
Ricordate che venerdì 8 novembre c'è il compito.


Naufragi
(Erri De Luca n. a Napoli il 20/5/1950)

Nei canali d'Otranto e Sicilia
migratori senz'ali, contadini d'Africa e d'oriente
affogano nel cavo delle onde.
Un viaggio su dieci s'impiglia sul fondo,
il pacco dei semi si sparge nel solco
scavato dall'ancora e non dall'aratro.
La terraferma d'Italia è terrachiusa.
Li lasciamo annegare per negare.



L'immigrazione straniera in Italia

La legge del 1998
         Il fenomeno dell'immigrazione straniera ha ormai assunto propor­zioni considerevoli in tutti i Paesi europei.
Sono decine di milioni i lavoratori stranieri presenti nel Vecchio Continente. Le cause che hanno indirizzato questa incontenibile corrente migratoria verso i Paesi industrializzati sono da ricercare in un sistema economico mondiale nel quale gli squilibri tra Paesi ricchi e Paesi poveri diventano sempre più marcati, provocando nelle aree sot­tosviluppate o in via di sviluppo condizioni di vita estremamente pre­carie.
Povertà, crescita demografica, carestie, epidemie, denutrizione spin­gono gli abitanti del Terzo Mondo all'emigrazione, che rimane l'unica speranza di sfuggire a un destino di disperazione.
In Italia il moto migratorio proveniente dai Paesi extracomunitari e dai Paesi dell'Est europeo si è via via accentuato. Dall'inizio degli anni '90 svariate migliaia di immigrati clandestini si sono riversati sulle coste del Sud Italia, dando vita a vere e proprie ondate di disperati, pronti a pagare somme esorbitanti e a sfidare il mare in tempesta per essere trasportati da scafi o da altre malandate imbarcazioni. E molti di loro, prima di raggiungere la «Terra promessa», sono stati travolti e inghiottiti dal mare. Il problema degli immigra­ti, quindi, è diventato anche per il nostro Paese estremamente complesso, perché riguarda cen­tinaia di migliaia di persone che, fuggendo da povertà, fame e guerre, cercano di inserirsi in un'attività lavorativa o comun­que di stabilirsi nel territorio italiano. Secondo stime ufficiali, nel nostro Paese ne sono stati contati più di 5 milioni nel 2011, ma è un dato che non cor­risponde alla realtà in quanto altre centinaia di migliaia si trovano in posizione di irregolari, con permesso di soggiorno ormai scaduto, oppure nella condizione di clandestini, essendo sbarcati sulle nostre coste senza visto di ingresso.
         Una volta entrati in Italia gli immigrati irregolari si dirigono in generale nelle località dove esistono da anni comunità di extracomunita­ri, che spesso fungono da veri e propri centri di smistamento di lavoro nero. È qui che imprenditori e agricoltori di pochi scrupoli attingono manodopera a bassissimo costo per le attività più umili e spesso stagio­nali; ed è qui che la malavita recluta manovalanza da utilizzare per i propri loschi affari.
Gli immigrati più fortunati e più qualificati riescono a farsi assu­mere, soprattutto al Nord, nelle fabbriche e nelle aziende, regolariz­zando così anche la loro posizione. Per gli altri non c'è speranza; ci so­no solo lavori saltuari, sottopagati, rischiosi, senza copertura previden­ziale e assistenziale, oppure l'appuntamento con la malavita.
Buona parte degli immigrati sopporta condizioni di vita di estremo disagio, abitando in alloggi di fortuna o sovraffollati. Essi affrontano quotidianamente l'emarginazione tra gente che li rifiuta considerando­li criminali o li accusa spesso di sottrarre posti di lavoro ai cittadini ita­liani.
In ogni caso la loro presenza, che in un primo tempo era stata ac­colta con tolleranza e addirittura con una certa benevolenza, è diven­tata sempre più massiccia e ha finito col mettere a dura prova un Pae­se come il nostro nel quale la disoccupazione, la penuria di alloggi e l'insufficienza di servizi sociali sono sempre problemi attuali.
I gravi episodi di intolleranza verificatisi in molte città italiane sono stati il sintomo ine­quivocabile di una crescente tensione sociale e hanno evidenziato al tempo stesso l'esistenza nel nostro Paese di una forma di razzismo im­pensabile.
Tutto ciò ha spinto lo Stato a prendere provvedimenti per disciplinare l'ingresso di im­migrati nel territorio italiano. Le prime disposi­zioni, emanate nel 1990 e poi nel 1995, hanno però riacceso aspre e laceranti polemiche, che hanno visto la contrapposizione di due opposti schieramenti che tuttora si fronteggiano.
Da una parte si sostiene che gli immigrati non sono in concorrenza con i lavoratori italia­ni in quanto quasi sempre svolgono lavori che questi rifiutano. Si rileva inoltre che nel nostro Paese, investito da un grave declino demografi­co, dove cioè il numero dei giovani diminuisce costantemente, l'ingresso di lavoratori stranieri rappresenta una ricchezza». Si afferma, infine, che la stragrande maggioranza degli stranieri è costituita da persone oneste, non implicate con la delinquenza.
Dall'altra parte si replica ricordando la gravità del problema della disoccupazione giovanile in Italia e la cronica carenza di alloggi e di strutture sociali. Si sottolinea anche che la nostra legislazione in pro­posito, frammentaria e «permissiva», fallisce soprattutto in materia di espulsione, tanto che la maggior parte degli immigrati espulsi non la­scia l'Italia e, per combattere la disoccupazione e il disumano sfrutta­mento del proprio lavoro, si dedicherebbe alla microcriminalità o si ar­ruolerebbe in massa nell'esercito della criminalità organizzata.
In ogni caso, il Governo Prodi ha approvato il 6 marzo 1998 una legge che «disciplina l'immigrazione e la condizione dello straniero». Tale legge si è ispirata, secondo la maggioranza governativa, da un lato a un maggior rigore e a una maggiore certezza di regole contro i clan­destini e gli sfruttatori, dall'altro a un'apertura ragionevole verso l'im­migrato che vuole mettersi in regola.
È superfluo dire che l'emanazione della legge ha scatenato subito la protesta dei maggiori esponenti del Polo e della Lega Nord, i quali hanno parlato di «legge demagogica e pasticciata».

La legge Bossi-Fini
Subito dopo la formazione nel 2001, il nuovo Governo di centrode­stra, sospinto soprattutto dall'intransigenza di Bossi e di tutta la Lega Nord, ha approvato il 30 luglio 2002 una nuova legge che contie­ne misure decisamente in contrasto con le precedenti.
Innanzi tutto è previsto che siano rilevate le impronte digitali agli immigrati che chiedono il permesso di soggiorno, che dura due anni ed è concesso solo a chi ha già un contratto di lavoro; per ottenere la car­ta di soggiorno occorre essere in regola da sei anni (non più da cin­que); viene cancellato l'istituto dello sponsor (associazione o cittadino che garantiva per l'immigrato).
Riguardo ai ricongiungimenti, gli extracomunitari in regola che la­vorano in Italia possono richiamare il coniuge, il figlio minore, i figli maggiorenni a carico della famiglia e anche i genitori, sempreché ab­biano compiuto 65 anni e non possano sostentarsi altrimenti.
Diventa immediata l'espulsione di chi è privo del permesso di sog­giorno e non può essere identificato, mentre vengono inasprite le pene nel caso di rientro in Italia di un immigrato già espulso e quelle a carico dei datori di lavoro che fanno lavorare immigrati privi del permesso di soggiorno o con permesso scaduto. È previsto anche l'arresto immediato dell'immigrato che non rispetti «l'ordine del questo­re di lasciare il territorio na­zionale entro cinque gior­ni». Il contrasto all'arrivo degli immigrati clandestini è stato affidato alla Guardia di finanza e alla Marina mi­litare. La legge, infine, stabi­lisce che potranno essere re­golarizzati sia le colf che i badanti, cioè le persone che assistono handicappati o an­ziani.
Alla prima sanatoria per colf e badanti ha fatto seguito, nel settem­bre del 2002, quella riguardante gli immigrati che lavoravano «in ne­ro», condizionata all'impegno del datore di lavoro ad assumere il la­voratore a tempo indeterminato oppure con contratto della durata di almeno un anno. Dopo l'emanazione della legge, ancora più violente si sono levate le proteste di parte degli esponenti della società civile e del centrosinistra, i quali hanno bollato la legge come «cinica, fero­ce, incivile». Insoddisfatti anche non pochi imprenditori, che hanno denunciato difficoltà e restrizioni nell'acquisizione della manodopera extracomunitaria.
Successivamente, la Corte Costituzionale ha bocciato alcuni punti della legge. Il Governo è stato così costretto a correre ai ripari invian­do prima alle questure una circolare che, in sostituzione dell'arresto, prevede il «trattenimento presso i Centri di permanenza temporanea (Cpt)», ed emanando poi, nell'ottobre 2004, un decreto-legge che, tra l'altro, stabilisce che siano i giudici di pace a confermare o a respingere la richiesta di espulsione firmata dal questore.

 L'universo immigrati
Gli immigrati residenti in Italia nel 2008 risultavano 4.630.000, pari al 7,2% della popolazione totale; gli studenti erano 628.937; i nati in Italia nel 2008 erano 72.472; i lavoratori 2.000.000, di cui varie centinaia erano imprenditori; il numero dei clandestini non è sicuro: secondo alcune stime erano 650.000, secondo altre superavano il milione. Con l'aumento costante delle presenze, è risultata via via anche aumentata l'incidenza della criminalità straniera. Intanto, sono continuati i viaggi della speranza su «carrette dei mare» fatiscenti e inadeguate, dirette soprattutto verso le coste della Sicilia, tanto che si sono dovuti contare ancora a centinaia i morti e «dispersi».
Sono anche continuate le critiche e le richieste di chiusura dirette contro i Centri di permanenza temporanea. Anche il Vaticano ha espresso la sua disapprovazione definendoli luoghi simili a prigioni dove sono negati i diritti umani.
Nel frattempo, il 13 giugno 2007 il Senato ha approvato una leg­ge, la quale prevede che diventi reato il cosiddetto caporalato, pu­nendo - con la reclusione da 3 a 8 anni e con la multa di 9000 euro - chiunque recluti manodopera e ne organizzi l'attività lavorativa me­diante violenza, minaccia, intimidazione o sfruttamento, intendendo per quest'ultimo la non osservanza delle leggi sul lavoro e delle nor­mative sindacali.
Il 2 novembre 2007 è entrato in esecuzione un decreto legge sulle espulsioni, varato dal Governo subito dopo un atto criminale orrendo perpetrato a Roma ai danni di una signora, che è stata massacrata e gettata in un fosso da un immigrato romeno. Il decreto attribuisce ai prefetti il potere di espellere con urgenza i cittadini della Comunità eu­ropea che risultino pericolosi per la pubblica sicurezza. Subito sono cominciate le espulsioni e sono state demolite alcune baraccopoli ospitanti sia immigrati di varie nazionalità, sia rom.

I «decreti sicurezza» e lo stato di emergenza. Critiche dall'Ue
Dopo la vittoria alle elezioni del centrodestra, il nuovo Governo ha avviato nel 2008 una politica di restrizione nei riguardi degli immigrati e dei rom. Sono stati così emanati vari decreti legge (per la «sicurezza») contenenti norme più severe, dirette, tra l'altro, a facili­tare le espulsioni degli stranieri irregolari, a introdurre l'aggravante della clandestinità, che prevede l'aumento di un terzo della pena, a comminare pesanti sanzioni per chi affitta «in nero» a questi ultimi, a rendere più articolate le regole per i permessi di soggiorno e per i ri­congiungimenti familiari degli immigrati regolari.
È stata, inoltre, affidata ai militari la vigilanza sui Centri di acco­glienza per gli immigrati al fine di impedire i tentativi di fuga. Alla fine di luglio 2008, poi, lo stesso ministro ha dichiarato lo stato di emergen­za nazionale riguardo all'immigrazione.
Veementi sono state le critiche dell'opposizione; tra l'altro, si è ac­cusato il Governo di fomentare l'allarme e di esporre gli immigrati e i rom a reazioni razziste. Non meno aspre sono state le critiche arrivate dalla Ue. In particolare, il Commissario per i diritti umani ha, tra l'al­tro, affermato che le misure varate in Italia «violano i diritti umani e i princìpi umanitari».
A tutte le critiche ha replicato il ministro dell'Interno, sottolinean­do che i militari sono utilizzati anche per fornire assistenza all'interno di campi e che lo stato di emergenza era già in vigore da tempo in tre Regioni. Ha anche fatto presente che i centri di accoglienza erano ormai insufficienti a causa dell’alto numero di arrivi. È da rilevare che il IO giugno 2010 la Corte Costituzionale ha di­chiarata illegittima l'aggravante di clandestinità prevista dalle norme sulla sicurezza approvate nel 2008.
Alla fine di dicembre 2010, poi, è entrata in vigore la direttiva eu­ropea sull'immigrazione, la quale, tra l'altro, prevede che allo straniero clandestino deve essere assicurato un periodo da 7 a 30 giorni per l'al­lontanamento e che l'espulsione deve essere sospesa in caso di suo ri­corso giudiziario. Queste norme, ovviamente, cozzano contro le dispo­sizioni vigenti in Italia, per cui ai magistrati non sarà facile scegliere la linea da seguire. In ogni caso, già nel gennaio 2011 sono state emesse alcune sentenze che hanno recepito la direttiva Ue.

2009, la clandestinità diventa reato
A partire da maggio 2009 il Governo, per fermare i continui sbarchi sul nostro territorio, ha inaugurato la prassi dei respingimenti: i barconi degli immigrati clandestini, provenienti quasi sempre dalla Li­bia, sono stati fermati, in al­to mare, dalle unità navali italiane e affidati alle moto­vedette libiche. Contro questa pratica ha protesta­to l'Onu, sostenendo che i respingimenti violano i di­ritti internazionali, perché in questo modo si evita di accertare se tra gli immi­grati ci sia chi, fuggendo dalle persecuzioni, viene in Italia come rifugiato o ri­chiedente asilo.
Il 2 luglio 2009 poi -tra le decise e reiterate proteste dell'Onu, di alti esponenti del mondo della Chiesa e dei partiti di op­posizione - il Parlamento ha approvato una legge che ha recepito in pieno gli inasprimenti previsti in tema di immigrazione dal cosiddetto Pacchetto di sicurezza preparato dal Governo.
Nel mese di agosto 2009, in­vece, è stata varata tra il consenso generale la sanatoria per colf e badanti.
Intanto, è da rilevare che nel periodo 1° agosto 2009-31 luglio 2010 gli sbarchi di clandestini in Italia sono nettamente diminuiti. Sono poi, però, aumentati a parti­re dal 2011, in concomitanza con le rivolte popolari esplose nei Pae­si nordafricani (soprattutto Tuni­sia, Egitto, Libia). Nel periodo gennaio-giugno 2011 gli immigrati sbarcati a Lampedusa sono stati circa 42.000, mentre i morti in ma­re sono stati quasi 1600.

2010, le rivolte degli immigrati
Nel 2010 si sono avute delle vere e proprie rivolte da parte degli immigrati. La più imponente è stata quella verificatasi a Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, dove varie centinaia di immigrati -quasi tutti africani e senza documenti - vivevano accampati in condi­zioni disastrose e, vessati dalla 'ndrangheta, lavoravano in nero con una paga di 20-25 euro al giorno. Ovviamente, nessuno si era mai preoccupato di tentare un'integrazione tra gli extracomunitari e la po­polazione italiana.
Tutto è cominciato il 7 gennaio 2010, quando due immigrati sono stati feriti da alcuni colpi sparati da un fucile a pallini; sembra anche che, nello stesso giorno, altri africani siano stati presi a sprangate da sconosciuti. È così iniziata la rivolta degli immigrati, che hanno blocca­to la statale 18 e poi danneggiato una ventina di auto. La protesta si è trasferita al centro della città, dove i rivoltosi hanno incendiato i casso­netti dell'immondizia, capovolto auto, infranto vetrine di negozi.
La reazione dei rosarnesi non si è fatta attendere: è cominciata la caccia al nero, è stata bruciata una baracca, è stato assediato il municipio chiedendo con veemenza la cacciata degli extracomunitari da Rosarno.
Desolante il bilancio degli scontri: 53 feriti, di cui 18 poliziotti, 16 rosarnesi e 21 immigrati, 8 dei quali ricoverati in ospedale.
Nei giorni seguenti la maggior parte degli immigrati è stata trasfe­rita in vari Cie (Centri di identificazione ed espulsione), mentre alle accuse di razzismo, pervenute da più parti, i rosarnesi hanno risposto organizzando un corteo alla cui testa campeggiava uno striscione su cui era scritto: Abbandonati dallo Stato! Criminalizzati dai mass me­dia! 20 anni di convivenza non sono razzismo.
Successivamente, il 26 aprile 2010, 9 «caporali» sono finiti in carce­re e 21 agli arresti domiciliari con l'accusa di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento degli immigrati clandestini.
Il 13 febbraio, invece, la rivolta è scoppiata in via Padova, in uno dei quartieri di Milano più a rischio per la notevole presenza di stra­nieri (in maggioranza irregolari) e per la totale assenza di un'autentica politica di integrazione. L'uccisione di un ragazzo egiziano da parte di una banda di sudamericani ha scatenato la protesta da parte degli ami­ci del nordafricano, che hanno messo il quartiere sotto assedio, ribalta­to auto, infranto vetrine di negozi latinoamericani.
Alle rivolte violente, sempre nel 2010, si sono aggiunte quelle pacifi­che. Il 10 marzo si è avuto il primo sciopero nazionale degli immigrati. Sono bastati un tamtam su Internet, un passaparola sui social network e migliaia di immigrati hanno manifestato pacificamente in 60 piazze ita­liane (spesso a braccetto con gli italiani), sbandierando striscioni diretti a rendere «visibili gli stranieri che lavorano in Italia», a sostenere «l'im­portanza della immigrazione per la tenuta socioeconomica del Paese», a porre in risalto che «nessun uomo è illegale». Numerose sono state le adesioni di molte associazioni, dei sindacati, di vari partiti politici.
Un'altra «rivolta» pacifica si è avuta, l’8 ottobre 2010, in vari paesi del casertano e del napoletano. Migliaia di immigrati, quasi tutti irre­golari, si sono radunati nei luoghi dove i caporali li ingaggiano con pa­ghe giornaliere, che sono diventate più basse a causa della crisi econo­mica e che difficilmente superano i 15 euro. Per diverse ore gli immi­grati sono rimasti riuniti in quelle zone e hanno gridato il loro «no allo sfruttamento» ostentando cartelli, appesi al collo, con sopra scritto «Oggi non lavoro per meno di 50 euro».

Un tetto per gli alunni stranieri
 L’8 gennaio 2010 il ministro della P.I. ha inviato alle scuole un documento contenente indicazioni e raccomandazioni per l'integrazione degli alunni stranieri. Dall'anno scolastico 2010-11. in ogni classe, anche se per gradi e con flessibilità, il numero degli alunni stranieri non potrà superare di norma il 30%. Inoltre, per i ragazzi che hanno più difficoltà con l'italiano sono previste «classi di inserimento» di durata limitata.
Il provvedimento è stato giustificato con il fatto che se in una clas­se gli immigrati sono molti, essi tendono a comunicare solo tra loro, rendendo difficile l'integrazione con gli alunni italiani.

 Verso una società multirazziale e multiculturale
Negli ultimi anni, ogni Paese europeo ha tentato di risolvere in ma­niera autonoma il problema dell'immigrazione ricorrendo a provvedimenti legislativi più restrittivi; tuttavia, arginare il flusso migratorio e organizzare un controllo capillare di tutti gli stranieri presenti sul territorio nazionale si sono rivelate imprese molto complesse.
In Italia, intanto, non si sono raffreddate le polemiche sul tema degli immigrati. In proposito si deve notare che pochi sembrano accor­gersi che la questione deve essere affrontata cercando soluzioni di più vasta portata.
È evidente che le condizioni di vita sempre più precarie nei loro Paesi spingono gli extracomunitari a cercare nuovi approdi. La miseria e la fame dalla quale essi tentano di fuggire sono tali che poi rifiutano con ogni mezzo di tornarvi, anche quando in Italia vivono nel disagio e nello squallore. Eppure molte potrebbero essere le iniziative di tipo politico, sociale ed economico da intraprendere per tentare di risolvere il difficile e delicato problema.
Innanzitutto occorre attenuare il più possibile l'enorme divario tra nazioni ricche e nazioni povere. Non solo sentimenti di giustizia sociale ma anche il buon senso indicano che, se non si farà qualcosa per assi­curare condizioni di vita più dignitose agli abitanti delle aree sottosvi­luppate, l'ondata migratoria è destinata ad aumentare ancora e a tra­volgere anche le frontiere più impenetrabili.
Una politica di vera e trasparente cooperazione, di collaborazione economica e tecnica, senza tralasciare quella culturale, svolta dai Gover­ni europei e dalle organizzazioni internazionali, può accrescere le oppor­tunità di sviluppo dei Paesi del Sud del mondo consentendo la creazione di posti di lavoro e il miglioramento del tenore medio di vita.
Intanto, nel nostro Paese occorre che Regioni e Comuni predi­spongano progetti tendenti a realizzare servizi e, possibilmente, abita­zioni, al fine di consentire una convivenza meno conflittuale tra italia­ni e stranieri. È utile inoltre, in questo faticoso processo di integrazio­ne, sostenere e incoraggiare l'opera preziosa svolta dalle associazioni del volontariato.
Né potranno rifiutarsi di svolgere il loro ruolo decisivo la famiglia e la scuola, che sono chiamate a sviluppare nei giovani il rispetto verso gruppi etnici diversi, educandoli a vivere con impegno civile in una so­cietà che si prefigura sempre più multirazziale e multiculturale.

LA LEGGE 2 LUGLIO 2009 SULLA SICUREZZA


·                                         Viene introdotto il reato di immigrazione clandestina: chiunque entra o soggiorna clandestinamente nel ter­ritorio italiano viene punito con un'ammenda dai 500 ai 1000 euro e con l'espulsione immediata.
·                                         I Cpt diventano Cie (Centri di identificazione e di espul­sione), dove la permanenza degli irregolari passa a sei mesi (prima erano due), in modo da poter permettere il completamento delle relative procedure.
·                                         I pubblici ufficiali hanno l'obbligo di denunciare i clan­destini; sono esclusi i medici e i dirigenti scolastici.
·                                         Chi affitta una casa o una stanza ai clandestini è puni­to con l'arresto da sei mesi a tre anni.
·                                         Gli immigrati dovranno pagare 200 euro per ottenere la cittadinanza e dagli 80 ai 200 euro per il permesso di soggiorno.
·                                         È prevista la formazione di associazioni di cittadini per pattugliare il territorio e segnalare alle forze dell'ordine situazioni di disagio sociale o di pericolo (le cosiddette ronde).

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IL PERMESSO DI SOGGIORNO A PUNTI
Nel 2010 il Consiglio dei ministri ha approvato l'accordo di integrazione per i nuovi immigrati, battezzato da molti permesso di soggiorno a punti. È una sorta di schema cosiddetto a «cre­diti», simile a quello del sistema scolastico. L'immigrato che entra regolarmente in Italia per la prima volta avrà già a disposizione un mini­mo di punti base (16) e nell'arco dei due anni successivi dovrà realizzare altri crediti fino ad arrivare a 30 punti. Se non ci riesce, anche do­po un terzo anno concessogli a titolo di recupe­ro, sarà espatriato dal territorio. Si acquisisco­no crediti con la conoscenza della lingua italia­na, con quella della cultura civica e della vita ci­vile italiana, con l'adempimento dell'obbligo dell'istruzione per i figli minori. All'immigrato, al contrario, vengono sottratti punti se subisce condanne o commette illeciti amministrativi o tributari.

Avviso

Ho inserito le pagine che abbiamo letto in classe.
Del capitolo IX c'è la seconda  parte, quella finale;
del capitolo X ci sono le prime due pagine e le tre conclusive.
Se avete a casa il romanzo cercate di ritrovare le parti e leggetele dal libro.

La Monaca di Monza