martedì 7 gennaio 2014

La globalizzazione


1. Cosa è. Sue origini.
Di globalizzazione oggi si parla molto senza necessariamente darne una definizione univoca e condivisa. In senso stretto, con questo termine ci si riferisce ai suoi aspetti economici. Da questo punto di vista la globalizzazione consiste essenzialmente nella liberalizzazione dei  mercati con l'abolizione di ogni ostacolo, a cominciare dalle barriere doganali, e con il libero movimento di merci e di servizi. In altre parole, la produzione, la commercializzazione, la distribuzione delle grandi azien­de non è più limitata solo allo Stato in cui hanno la loro sede, ma si estendono al mondo intero, che diventa così un unico, grande mercato.
La globalizzazione economica non è nata ora, ma è un fenomeno progressivo, che si è sviluppato nel tempo in modo inarrestabile. Nel  mondo moderno è stata favorita dalla rivoluzione industriale, iniziata alla fine del Settecento, e ha subito un forte impulso nella seconda me­tà del Novecento. Alla fine del secondo conflitto mondiale la «macchi­na» industriale è progredita enormemente, in quanto la capacità di produrre è aumentata notevolmente e ha superato la richiesta del mercato interno. In questa fase è divenuto essenziale poter accedere senza vincoli e senza limiti al controllo e allo sfruttamento delle mate­rie prime presenti nei Paesi in via di sviluppo. E, per smaltire l'accre­sciuta produzione industriale, è diventato necessario creare dovunque nuove strutture di distribuzione e di vendita.
Finora ci siamo soffermati sull'aspetto economico, ma è chiaro che la globalizzazione investe tutti gli aspetti della vita sociale. Quindi essa può essere definita come il processo per cui i fenomeni economici, tecnologici, culturali e di costume assumono una dimensione mondiale, superando i confini nazionali. Processo che ha subito una forte accelerazione con lo sviluppo dei mezzi di trasporto e con la diffusione dell’informazione e dei mezzi di comunicazione, soprattutto di Internet. Oggi i ragazzi di Roma, di Tokio, di New York mangiano lo stesso hamburger, bevono coca-cola, scelgono le stesse scarpe e gli stessi jeans di determinate aziende che hanno imposto con la pubblicità i loro prodotti in ogni angolo del mondo.

2. I fautori e i «motori» della globalizzazione
Il dibattito riguardante i limiti e i vantaggi della globalizzazione e i suoi effetti sui Paesi in via di sviluppo è molto acceso da vari anni I suoi fautori sostengono che essa ha sviluppato i mercati interni dei Paesi industrializzati, ne ha fatto crescere le singole economie, ha promosso la concorrenza. La globalizzazione, inoltre, rappresenterebbe un’ottimale utilizzazione delle materie prime. Favorirebbe quindi la crescita delle economie locali, la rapida introduzione di nuove tecnologie, lo sviluppo di nuove professioni.
I teorici della globalizzazione si ispirano al liberismo, cioè alla dottrina economica che propugna un sistema basato sulla libera concorrenza e che limita l’intervento dello Stato alla difesa della stessa e all’erogazione di pochi e determinati servizi pubblici.
A favore della trasformazione delle economie nazionali in un'uni­ca grande economia mondiale si schierano i Paesi più ricchi e indu­strializzati e le potenti istituzioni da loro fondate e controllate, quali la Banca mondiale, l'IMF (Fondo monetario internazionale), l'Omc (Or­ganizzazione mondiale del commercio, in inglese Wto).
Un altro motore importante della globalizzazione è rappresentato dalle multinazionali, grandi società industriali, commerciali o bancarie, le cui dipendenze, dislocate in molti Paesi del mondo, svolgono impor­tanti attività produttive, commerciali e finanziarie. Esse occupano una posizione dominante nei mercati mondiali e hanno una forza economica che supera spesso quella dei Paesi in cui operano; sono inoltre così po­tenti da influenzare la politica e le decisioni dei governanti locali. Ope­rano prevalentemente nei settori dell'energia (soprattutto del petrolio), dell'elettronica, dell'industria alimentare, della produzione di armi.
Un'altra sentinella della globalizzazione è stato il G8, sigla che sta ad indicare il gruppo degli 8 Paesi più industrializzati del mondo, i quali si sono riuniti periodicamente per analizzare i grandi problemi dell'economia mondiale. È superfluo dire che le loro scelte e le loro decisioni hanno influenzato enormemente la politica economica plane­taria (nel 2009, come vedremo, i suoi compiti sono passati al G20).

3. Gli oppositori.
I No globali critiche e proteste. La «globalizzazione che non c'è»
Dall'altra parte della barricata ci sono i movimenti che contestano fortemente la globalizzazione e le sue istituzioni, organizzando proteste e manifestazioni. La prima significativa protesta, che accomu­nò decine di migliaia di persone giunte da tutto il mondo, avvenne nel 1999 a Seattle, negli Usa, dove si teneva una riunione del Wto. Nacque, allora un vero e proprio movimento transnazionale, denominato poi No global (o antiglobal), che coniò lo slogan Un altro mondo è possi­bile e si autodefinì un movimento pacifista, ecologista, diretto a pro­muovere la rinascita della società civile, la democrazia partecipativa, il consumo critico e lo sviluppo ambientale sostenibile.
Il movimento No global, col passare degli anni, è diventato una grande rete formata da associazioni cattoliche (Acli, Pax Christi, Nigrizia e altre), associazioni laiche come l'Arci, associazioni ambientaliste (Wwf, Legambiente), sindacati, centri sociali. Gli aderenti al movimen­to sono essenzialmente pacifisti, ecologisti, persone di diversa estrazio­ne politica e di diversa età, fra cui moltissimi giovani.
L'attività del movimento si concretizza nell'organizzare manifesta­zioni, nel boicottaggio di prodotti commerciali (soprattutto delle mul­tinazionali), nella controinformazione.
I No global organizzano puntualmente dei «controvertici» nelle stesse città dove si tengono le riunioni del G8. Tristemente famoso è quello allestito nel 2001 a Genova, quando si riunirono gli otto Grandi , della Terra (presente anche il contestatissimo presidente Usa, Bush).
Tra i manifestanti pacifisti si infiltrarono gli aderenti ad alcune si­gle dell'antagonismo, quelle che teorizzano la necessità degli scontri. Il loro obiettivo dichiarato fu quello di alzare il livello della contestazione, di devastare, di sfasciare le vetrine dei simboli della globalizzazione, come le banche e i negozi McDonald's. I più attivi furono i seguaci di alcuni collettivi anarchici e delle frange più dure dei centri sociali. Da fuori confine arrivarono i più pericolosi, i Black bloc (movimento anarchico presente in alcuni paesi occidentali, i cui aderenti organizzano manifestazioni di protesta, dando luogo ad atti di guerriglia urbana e di vandalismo contro obiettivi divenuti simboli del potere capitalistico, quali banche o multinazionali. Sono chiamati gruppo nero perché sono vestiti di nero e manifestano in ranghi compatti).
La polizia intervenne massicciamente e decisamente, e il risultato dei tre giorni di discussione degli otto Grandi fu catastrofico: quasi 600 feriti, 200 persone arrestate, vari miliardi di lire di danni e, soprattutto un morto, un ragazzo di 23 anni, Carlo Giuliani, centrato da un colpo di pistola esploso da un giovane carabiniere.
Molte sono le critiche che il mondo No global muove al processo di globalizzazione, che è visto come una precisa strategia perseguita dai Paesi del mondo industriale e dalle multinazionali nel loro quasi esclusivo interesse. Questi avrebbero la convenienza a dislocare le proprie attività nei Paesi in via di sviluppo (Pvs), dove la pressione fiscale è moderata, il costo del lavoro è basso, la legislazione è carente riguardo all'inquinamento e dove i lavoratori sono poco tutelati relativamente ai salari minimi, ai contributi sociali, all'uso del lavoro minorile, all'osservanza di orari di lavoro sostenibili.
Si sostiene che nessun beneficio è apportato al reddito locale in quanto gran parte dei profitti sono rimpatriati, e che spesso vengono instaurate varie forme di dipendenza, soprattutto quella politica, del Paese ospitante rispetto a quello investitore.
Si sottolinea, ancora, che la globalizzazione in atto è a senso unico, in quanto si continua a globalizzare solo ciò che è conveniente per i Paesi industrializzati e per le multinazionali; ad esempio, i capitali si possono ormai trasferire molto facilmente tra gli Stati.
Si fa notare, invece, che la ricchezza non è stata ovviamente globalizzata, tanto che, ad esempio, pochi uomini - fondatori soprattutto di multinazionali – detengono un patrimonio equivalente a quello appartenente a quasi un miliardo di persone dei Paesi poveri.
Né sono stati globalizzati la crescita economica, la tecnologia, il flusso delle persone (le migrazioni" degli abitanti dei Paesi in via di svi­luppo verso quelli industrializzati sono contingentate e controllate).
Obiettivi e richieste dei No global
Uno degli obiettivi perseguiti dal movimento antiglobalizzatore è la cancellazione del debito pubblico contratto negli anni dai Pvs. In proposito si sostiene che i popoli interessati non possono restituire le somme intascate da regimi dittatoriali militari e che, comunque, le cause dell'indebitamento sono riconducibili a responsabilità dirette dei Paesi industrializzati.
Si chiede con forza anche che le case farmaceutiche, per tenere sotto controllo il virus dell'Aids, forniscano gratuitamente i farmaci ai Pvs. E, se è vero che la globalizzazione è un processo che non si può fermare, si sostiene la necessità che la comunità internazionale istitui­sca i sistemi e crei le leggi e le regole perché essa sia governata secon­do criteri che non danneggino i Paesi poveri e che tutelino le condizio­ni di lavoro e l'ambiente. Si esige inoltre che siano istituite organizza­zioni non governative, con compiti di controllo sulle multinazionali.
Dall'altra parte qualche risposta positiva si è avuta, anche se molto parzialmente. Ad esempio, nel 2005 i Paesi del G8 hanno deciso di can­cellare una parte del debito di alcuni Paesi africani.
2008, la grave crisi economica mondiale
Nel 2008 è esplosa una crisi economica e finanziaria di dimensione planetaria. La crisi dei mutui subprime (mutui concessi dalle banche a persone meno abbienti o con caratteristiche di affidabilità assai precarie), verificatasi negli Usa quando i sottoscrittori hanno smesso di pagare le rate, ha coinvolto non solo l'economia americana, ma si è estesa a tutto il mondo. E con­tinuata, inoltre, la crescita della domanda dei beni, compresi quelli agroalimentari, proveniente da quei Paesi asiatici che prima si limita­vano all'autoconsumo e che ora, col crescere del loro reddito, importa­no merci dai Paesi più ricchi.
Queste e altre cause, come il notevole aumento del prezzo del petrolio, hanno provocato la salita globale dei prezzi di tutti i beni, soprattutto di quelli alimentari come pane, latte, grano, frutta, verdure ecc.
Per questi motivi, non pochi fautori della globalizzazione hanno ammesso che la crisi economica e il conseguente carovita erano dovuti anche alla stessa globalizzazione e al liberismo.
In ogni caso, una cosa è certa: con l'aumento indiscriminato dei prezzi, i già ricchi restano sempre ricchi, mentre i già poveri diventano sempre più poveri. Soprattutto, sembra che si stia creando una  classe di poveri, quella del ceto medio.
2009, il timone dell'economia globale passa al G20. I vertici di Toronto e di Seul
Per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria,si sono svolte nel 2008 e 2009 varie riunioni dei Grandi della Terra, fino ad arrivare al G20 ( gruppo di 20 paesi che dall’ottobre 2009 si riuniscono per risolvere i grandi problemi dell’economia mondiale. Del G20 fanno parte: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Corea del Sud, Turchia, Regno Unito, USA, il ventesimo membro è l’UE.) tenutosi, alla fine di settembre 2009, a Pittsburgh negli dove è stato stipulato un patto (Patto di Pittsburgh) diretto a realizzare uno sviluppo sostenibile e ad eliminare gli squilibri economici globali.
Pur considerando che la crisi sembrava essersi attenuata, si è ribadito di continuare nelle azioni di sostegno all'economia. Si è deciso, però, di dare il via a una serie di nuove importanti iniziative: lotta alla speculazione finanziaria; seria regolamentazione dei mercati finanziari e profonda riforma dei sistemi finanziari internazionali; guerra ai paradisi fiscali presenti in vari Stati al fine di far emergere l’enorme massa di capitali nascosti da chi ha evaso le tasse nazionali; poteri di vigilanza e di allerta a un nuovo organismo centrale; provvedimenti per combattere la crescente disoccupazione.
Infine, prendendo atto della notevole crescita economica di vari Stati (prima di tutti Brasile, Cina, India) e delle richieste di avere maggior peso avanzate da altri Paesi emergenti, è stata decisa una vera e propria svolta storica: è stato assegnato al G20, e non più al G8, il ruolo di forum permanente per discutere le questioni economiche mondiali; il G8, in ogni caso, «non muore», in quanto si occuperà di temi politici, soprattutto riguardanti la sicurezza.
Deludente, comunque, è stato il G20 tenutosi a Toronto (Canada) nel giugno 2010. Riguardo all'economia i Grandi hanno raggiunto un compromesso tra sviluppo economico e rigore nei conti pubblici, impegnandosi solo a dimezzare i deficit entro il 2013 e a ridurre (ma senza fissare una percentuale!) il rapporto deficit-Pil. Nessun accordo, invece, è stato trovato per introdurre la ventilata tassa sulle banche, considerate le principali artefici della crisi scoppiata alla fine del 2007. Né c'è stata intesa per un aumento degli aiuti ai poveri del mondo. Neanche nel Ver­tice tenutosi poi a Seul (Corea del Sud) nel novembre 2010 si sono avuti risultati apprezzabili, in quanto ogni piano d'azione è rimasto bloccato sul nodo degli squilibri finanziari che imperversano nel Pianeta.

4. II commercio equo e solidale. Boicottaggio e consumo critico.
Il commercio equo e solidale è quella forma di attività commerciale che ha come obiettivo non il perseguimento al limite massimo del profitto, ma la lotta allo sfruttamento e alla povertà. Esso è mirato a creare canali commerciali alternativi, in modo da garantire un equo compenso ai piccoli produttori, svantaggiati economicamente, dei Pvs.
Le organizzazioni del commercio equo e so­lidale comprano direttamente dai produttori, scavalcando gli intermediari del commercio tra­dizionale. Nel prezzo d'acquisto è compreso un contributo per sostenere progetti locali di svi­luppo sociale e sanitario.
Gli acquirenti assumono determinati impe­gni quali prezzi e quantitativi minimi garantiti, contratti di lunga durata, prefinanziamento. I produttori locali, a loro volta, debbono osserva­re precise regole: divieto del lavoro minorile, im­piego di materie prime rinnovabili, spese per la scolarizzazione, sostegno alla propria comunità.
Tipici prodotti del commercio equo sono, tra gli altri, il riso, il caffè, il tè, il cacao, lo zuc­chero di canna e, soprattutto, i prodotti dell'arti­gianato locale.
Nell'Unione europea sono circa 80000 i punti di vendita che trattano merci solidali, tra cui comuni supermercati che vendono anche prodotti equi. In Italia le botteghe specializzate sono circa 400, mentre i punti vendita sono più di 5000. Da qualche anno sono promosse campagne per sensibilizzare i consumatori ad aiutare i Pvs. Il primo strumento a disposizione del consumatore è il boicottaggio, cioè l’interruzione temporanea dell’acquisto di prodotti di largo consumo per indurre le multinazionali produttrici a rivedere i propri comportamenti. Altro mezzo è il consumo critico, che consiste nello scegliere – laddove è possibile- con particolare cura i prodotti, non solo avendo presente la qualità e il prezzo, ma anche in base alla loro “storia”, alle scelte e ai comportamenti delle aziende produttrici.

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