1. Cosa è. Sue origini.
Di globalizzazione oggi si parla molto senza
necessariamente darne una definizione univoca e condivisa. In senso stretto,
con questo termine ci si riferisce ai suoi aspetti economici. Da questo punto
di vista la globalizzazione consiste essenzialmente nella liberalizzazione dei mercati con l'abolizione di ogni ostacolo, a
cominciare dalle barriere doganali, e con il libero movimento di merci e di
servizi. In altre parole, la produzione, la commercializzazione, la
distribuzione delle grandi aziende non è più limitata solo allo Stato in cui
hanno la loro sede, ma si estendono al mondo intero, che diventa così un unico, grande mercato.
La globalizzazione economica non è nata ora, ma è un
fenomeno progressivo, che si è sviluppato nel tempo in modo inarrestabile.
Nel mondo moderno è stata favorita dalla
rivoluzione industriale, iniziata alla fine del Settecento, e ha subito un
forte impulso nella seconda metà del Novecento. Alla fine del secondo
conflitto mondiale la «macchina» industriale è progredita enormemente, in
quanto la capacità di produrre è aumentata notevolmente e ha superato la
richiesta del mercato interno. In questa fase è divenuto essenziale poter
accedere senza vincoli e senza limiti al controllo e allo sfruttamento delle
materie prime presenti nei Paesi in via di sviluppo. E, per smaltire l'accresciuta
produzione industriale, è diventato necessario creare dovunque nuove strutture
di distribuzione e di vendita.
Finora ci siamo soffermati
sull'aspetto economico, ma è chiaro che la globalizzazione investe tutti gli
aspetti della vita sociale. Quindi essa può essere definita come il processo
per cui i fenomeni economici, tecnologici, culturali e di costume assumono una
dimensione mondiale, superando i confini nazionali. Processo che ha subito una
forte accelerazione con lo sviluppo dei mezzi di trasporto e con la diffusione
dell’informazione e dei mezzi di comunicazione, soprattutto di Internet. Oggi i
ragazzi di Roma, di Tokio, di New York mangiano lo stesso hamburger, bevono
coca-cola, scelgono le stesse scarpe e gli stessi jeans di determinate aziende
che hanno imposto con la pubblicità i loro prodotti in ogni angolo del mondo.
2.
I fautori e i «motori» della globalizzazione
Il dibattito riguardante i
limiti e i vantaggi della globalizzazione e i suoi effetti sui Paesi in via di
sviluppo è molto acceso da vari anni I suoi fautori sostengono che essa ha
sviluppato i mercati interni dei
Paesi industrializzati, ne ha fatto crescere le singole economie, ha promosso
la concorrenza. La globalizzazione, inoltre, rappresenterebbe un’ottimale
utilizzazione delle materie prime. Favorirebbe quindi la crescita delle
economie locali, la rapida introduzione di nuove tecnologie, lo sviluppo di
nuove professioni.
I teorici della globalizzazione
si ispirano al liberismo, cioè alla dottrina economica che propugna un sistema
basato sulla libera concorrenza e che limita l’intervento dello Stato alla
difesa della stessa e all’erogazione di pochi e determinati servizi pubblici.
A favore della trasformazione delle economie nazionali in un'unica
grande economia mondiale si schierano i Paesi più ricchi e industrializzati e
le potenti istituzioni da loro fondate e controllate, quali la Banca mondiale, l'IMF (Fondo monetario internazionale), l'Omc (Organizzazione
mondiale del commercio, in inglese Wto).
Un altro motore importante della globalizzazione è rappresentato dalle multinazionali, grandi società industriali, commerciali o bancarie, le cui dipendenze,
dislocate in molti Paesi del mondo, svolgono importanti attività produttive,
commerciali e finanziarie. Esse occupano una posizione dominante nei mercati
mondiali e hanno una forza economica che supera spesso quella dei Paesi in cui
operano; sono inoltre così potenti da influenzare la politica e le decisioni
dei governanti locali. Operano prevalentemente nei settori dell'energia
(soprattutto del petrolio), dell'elettronica, dell'industria alimentare, della
produzione di armi.
Un'altra
sentinella della globalizzazione è stato il G8, sigla
che sta ad indicare il gruppo degli 8 Paesi più industrializzati del mondo, i
quali si sono riuniti periodicamente per analizzare i grandi problemi
dell'economia mondiale. È superfluo dire che le loro scelte e le loro decisioni
hanno influenzato enormemente la politica economica planetaria (nel 2009, come
vedremo, i suoi compiti sono passati al G20).
3. Gli oppositori.
I No globali critiche e proteste. La
«globalizzazione che non c'è»
Dall'altra
parte della barricata ci sono i movimenti che contestano fortemente la
globalizzazione e le sue istituzioni, organizzando proteste e manifestazioni.
La prima significativa protesta, che accomunò decine di migliaia di persone
giunte da tutto il mondo, avvenne nel 1999 a Seattle, negli Usa, dove si teneva una
riunione del Wto. Nacque, allora un vero e proprio movimento transnazionale,
denominato poi No global (o antiglobal), che coniò lo slogan Un altro mondo è possibile e
si autodefinì un movimento pacifista, ecologista, diretto a promuovere la
rinascita della società civile, la democrazia partecipativa, il consumo critico
e lo sviluppo ambientale sostenibile.
Il
movimento No
global, col passare degli anni, è diventato una grande
rete formata da associazioni cattoliche (Acli, Pax Christi, Nigrizia e altre),
associazioni laiche come l'Arci, associazioni ambientaliste (Wwf, Legambiente),
sindacati, centri sociali. Gli aderenti al movimento sono essenzialmente
pacifisti, ecologisti, persone di diversa estrazione politica e di diversa
età, fra cui moltissimi giovani.
L'attività
del movimento si concretizza nell'organizzare manifestazioni, nel boicottaggio
di prodotti commerciali (soprattutto delle multinazionali), nella controinformazione.
I
No global organizzano
puntualmente dei «controvertici» nelle stesse città dove si tengono le riunioni
del G8. Tristemente famoso è quello allestito nel 2001 a Genova, quando si
riunirono gli otto Grandi , della Terra (presente anche il contestatissimo
presidente Usa, Bush).
Tra
i manifestanti pacifisti si infiltrarono gli aderenti ad alcune sigle
dell'antagonismo, quelle che teorizzano la necessità degli scontri. Il loro
obiettivo dichiarato fu quello di alzare il livello della contestazione, di
devastare, di sfasciare le vetrine dei simboli della globalizzazione, come le
banche e i negozi McDonald's. I più attivi furono i seguaci di alcuni
collettivi anarchici e delle frange più dure dei centri sociali. Da fuori
confine arrivarono i più pericolosi, i Black bloc (movimento
anarchico presente in alcuni paesi occidentali, i cui aderenti organizzano
manifestazioni di protesta, dando luogo ad atti di guerriglia urbana e di
vandalismo contro obiettivi divenuti simboli del potere capitalistico, quali
banche o multinazionali. Sono chiamati gruppo nero perché sono vestiti di
nero e manifestano in ranghi compatti).
La polizia intervenne
massicciamente e decisamente, e il risultato dei tre giorni di discussione
degli otto Grandi fu catastrofico: quasi 600 feriti, 200 persone
arrestate, vari miliardi di lire di danni e, soprattutto un morto, un ragazzo
di 23
anni, Carlo Giuliani, centrato da un colpo di pistola
esploso da un giovane carabiniere.
Molte
sono le critiche che il mondo No global muove al processo di
globalizzazione, che è visto come una precisa strategia perseguita dai Paesi
del mondo industriale e dalle multinazionali nel loro quasi esclusivo
interesse. Questi avrebbero la convenienza a dislocare le proprie attività nei
Paesi in
via di sviluppo (Pvs), dove la pressione fiscale
è moderata, il costo del lavoro è basso, la legislazione è carente riguardo
all'inquinamento e dove i lavoratori sono poco tutelati relativamente ai salari
minimi, ai contributi sociali, all'uso del lavoro minorile, all'osservanza di orari
di lavoro sostenibili.
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Si
sostiene che nessun beneficio è apportato al reddito locale in quanto gran
parte dei profitti sono rimpatriati, e che spesso vengono instaurate varie
forme di dipendenza, soprattutto quella politica, del Paese ospitante rispetto
a quello investitore.
Si sottolinea, ancora, che la globalizzazione
in atto è a senso unico, in quanto si continua a globalizzare solo ciò che è
conveniente per i Paesi industrializzati e per le multinazionali; ad esempio, i
capitali si possono ormai trasferire molto facilmente tra gli Stati.
Si
fa notare, invece, che la ricchezza non è stata ovviamente globalizzata, tanto
che, ad esempio, pochi uomini - fondatori soprattutto di multinazionali –
detengono un patrimonio equivalente a quello appartenente a quasi un miliardo
di persone dei Paesi poveri.
Né sono stati globalizzati la crescita
economica, la tecnologia, il flusso delle persone (le migrazioni" degli
abitanti dei Paesi in via di sviluppo verso quelli industrializzati sono
contingentate e controllate).
Obiettivi e richieste dei No global
Uno degli obiettivi perseguiti
dal movimento antiglobalizzatore è la cancellazione del debito pubblico
contratto negli anni dai Pvs. In proposito si sostiene che i popoli interessati
non possono restituire le somme intascate da regimi dittatoriali militari e
che, comunque, le cause dell'indebitamento sono riconducibili a responsabilità
dirette dei Paesi industrializzati.
Si chiede con forza anche che le
case farmaceutiche, per tenere sotto controllo il virus dell'Aids, forniscano
gratuitamente i farmaci ai Pvs. E, se è vero che la globalizzazione è un
processo che non si può fermare, si sostiene la necessità che la comunità
internazionale istituisca i sistemi e crei le leggi e le regole perché essa
sia governata secondo criteri che non danneggino i Paesi poveri e che tutelino
le condizioni di lavoro e l'ambiente. Si esige inoltre che siano istituite
organizzazioni non governative, con compiti di controllo sulle multinazionali.
Dall'altra parte qualche risposta
positiva si è avuta, anche se molto parzialmente. Ad esempio, nel 2005 i Paesi
del G8 hanno deciso di cancellare una parte del debito di alcuni Paesi
africani.
2008, la grave crisi economica
mondiale
Nel 2008 è esplosa una crisi
economica e finanziaria di dimensione planetaria. La crisi dei mutui subprime (mutui concessi dalle banche a persone
meno abbienti o con caratteristiche di affidabilità assai precarie), verificatasi negli Usa quando i
sottoscrittori hanno smesso di pagare le rate, ha coinvolto non solo l'economia americana, ma si è
estesa a tutto il mondo. E continuata, inoltre, la crescita della domanda dei
beni, compresi quelli agroalimentari, proveniente da quei Paesi asiatici che
prima si limitavano all'autoconsumo e che ora, col crescere del loro reddito,
importano merci dai Paesi più ricchi.
Queste e altre
cause, come il notevole aumento del prezzo del petrolio, hanno provocato la
salita globale dei prezzi di tutti i beni,
soprattutto di quelli alimentari come pane,
latte, grano, frutta, verdure ecc.
Per questi motivi, non pochi fautori della
globalizzazione hanno ammesso che la crisi economica e il conseguente carovita
erano dovuti anche alla stessa globalizzazione e al liberismo.
In ogni caso, una cosa è certa: con l'aumento indiscriminato dei prezzi,
i già ricchi restano sempre ricchi, mentre i già poveri diventano sempre più
poveri. Soprattutto, sembra che si stia creando una classe di poveri, quella del ceto medio.
2009, il
timone dell'economia globale passa al G20. I vertici di Toronto e di Seul
Per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria,si sono svolte nel 2008 e 2009 varie riunioni dei Grandi della Terra, fino ad arrivare
al G20 ( gruppo di 20 paesi che
dall’ottobre 2009 si riuniscono per risolvere i grandi problemi dell’economia
mondiale. Del G20 fanno parte: Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia,
Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Messico, Russia, Arabia Saudita,
Sudafrica, Corea del Sud, Turchia, Regno Unito, USA, il ventesimo membro è l’UE.) tenutosi,
alla fine di settembre 2009,
a Pittsburgh negli dove è stato stipulato un patto (Patto di Pittsburgh) diretto a realizzare uno sviluppo sostenibile
e ad eliminare gli squilibri economici
globali.
Pur considerando che la crisi sembrava essersi attenuata, si è ribadito
di continuare nelle azioni di sostegno all'economia. Si è deciso, però, di dare
il via a una serie di nuove importanti iniziative: lotta alla speculazione finanziaria; seria regolamentazione dei mercati finanziari e
profonda riforma dei sistemi finanziari internazionali; guerra ai paradisi fiscali presenti in vari Stati al fine di far emergere l’enorme massa di capitali
nascosti da chi ha evaso le tasse nazionali; poteri di vigilanza e di allerta a un nuovo organismo
centrale; provvedimenti per combattere la crescente disoccupazione.
Infine, prendendo atto della notevole crescita economica di vari Stati
(prima di tutti Brasile, Cina, India) e delle richieste di avere maggior peso
avanzate da altri Paesi emergenti, è stata decisa una vera e propria svolta
storica: è stato assegnato al G20, e non più
al G8, il ruolo di forum permanente per discutere le questioni economiche mondiali;
il G8, in ogni caso, «non muore», in quanto si occuperà di temi politici,
soprattutto riguardanti la sicurezza.
Deludente, comunque, è stato il G20 tenutosi a Toronto (Canada) nel
giugno 2010. Riguardo all'economia i Grandi hanno raggiunto un compromesso tra
sviluppo economico e rigore nei conti pubblici, impegnandosi solo a dimezzare i
deficit entro il 2013 e a ridurre (ma senza fissare una percentuale!) il rapporto
deficit-Pil. Nessun accordo, invece, è stato trovato per introdurre la
ventilata tassa sulle banche, considerate le principali artefici della crisi
scoppiata alla fine del 2007. Né c'è stata intesa per un aumento degli aiuti ai
poveri del mondo. Neanche nel Vertice tenutosi poi a Seul (Corea del Sud) nel
novembre 2010 si sono avuti risultati apprezzabili, in quanto ogni piano
d'azione è rimasto bloccato sul nodo degli squilibri finanziari che
imperversano nel Pianeta.
4.
II
commercio equo e solidale. Boicottaggio e consumo critico.
Il
commercio
equo e solidale è quella forma di attività commerciale
che ha come obiettivo non il perseguimento al limite massimo del profitto, ma
la lotta allo sfruttamento e alla povertà. Esso è mirato a creare canali
commerciali alternativi, in modo da garantire un equo compenso ai piccoli
produttori, svantaggiati economicamente, dei Pvs.
Le
organizzazioni del commercio equo e solidale comprano direttamente dai
produttori, scavalcando gli intermediari del commercio tradizionale. Nel
prezzo d'acquisto è compreso un contributo per sostenere progetti locali di sviluppo
sociale e sanitario.
Gli
acquirenti assumono determinati impegni quali prezzi e quantitativi minimi
garantiti, contratti di lunga durata, prefinanziamento. I produttori locali, a
loro volta, debbono osservare precise regole: divieto del lavoro minorile, impiego
di materie prime rinnovabili, spese per la scolarizzazione, sostegno alla
propria comunità.
Tipici
prodotti del commercio equo sono, tra gli altri, il riso, il caffè, il tè, il
cacao, lo zucchero di canna e, soprattutto, i prodotti dell'artigianato
locale.
Nell'Unione europea sono circa 80000 i punti di vendita che
trattano merci solidali, tra cui comuni supermercati che vendono anche
prodotti equi. In Italia le botteghe specializzate sono circa 400, mentre i
punti vendita sono più di 5000. Da qualche anno sono promosse campagne per
sensibilizzare i consumatori ad aiutare i Pvs. Il primo strumento a
disposizione del consumatore è il boicottaggio, cioè l’interruzione temporanea
dell’acquisto di prodotti di largo consumo per indurre le multinazionali
produttrici a rivedere i propri comportamenti. Altro mezzo è il consumo
critico, che consiste nello scegliere – laddove è possibile- con particolare
cura i prodotti, non solo avendo presente la qualità e il prezzo, ma anche in
base alla loro “storia”, alle scelte e ai comportamenti delle aziende
produttrici.
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