Il noto scrittore
francese Daniel Pennac,
nato nel 1944, ha
insegnato per oltre
trent'anni.
In Diario di scuola,
da cui è tratto il brano,
parla di sé e del proprio
rapporto
con la scuola.
Ero
un somaro
Daniel Pennac
Insomma, andavo male a scuola. Ogni sera della mia infanzia
tornavo a casa perseguitato dalla scuola. I miei voti sul diario dicevano la
riprovazione1 dei miei maestri. Quando non ero l'ultimo della
classe, ero il penultimo. (Evviva!) Refrattario2 dapprima
all'aritmetica, poi alla matematica, profondamente disortografico3,
poco incline4 alla memorizzazione delle date e alla localizzazione
dei luoghi geografici, inadatto all'apprendimento delle lingue straniere,
ritenuto pigro (lezioni non studiate, compiti non fatti), portavo a casa
risultati pessimi che non erano riscattati né dalla musica, né dallo sport né
peraltro da alcuna attività parascolastica5. «Capisci? Capisci o no quello che ti spiego?»
Non capivo. Questa inattitudine6 a capire aveva radici così lontane
che la famiglia aveva immaginato una leggenda per datarne le origini: il mio
apprendimento dell'alfabeto. Ho sempre sentito dire che mi ci era voluto un
anno intero per imparare la lettera a. La lettera a, in un anno. Il deserto della mia
ignoranza cominciava al di là dell'invalicabile7.
«Niente panico, tra ventisei
anni padroneggerà perfettamente l'alfabeto.»
Così ironizzava mio padre per
esorcizzare8 i propri timori.
Eppure, esteriormente, pur non essendo agitato, ero un
bambino di grande vivacità che amava giocare. Bravissimo alle biglie e agli
aliossi9, imbattibile a palla prigioniera, campione del mondo nelle
battaglie di cuscini, amavo giocare. Piuttosto chiacchierone e ridanciano10,
diciamo pure burlone, mi facevo degli amici a tutti i livelli della classe,
fra i somari, certo, ma anche fra le teste di serie11 - non avevo
pregiudizi. Più di qualunque cosa, alcuni insegnanti mi rimproveravano questa
allegria. Oltre che privo di bravura, ero anche pieno
di insolenza12. Il minimo della buona educazione, per un somaro, è
essere discreto: nato morto sarebbe l'ideale. Ma la vitalità era vitale per me,
se così si può dire. Il gioco mi salvava dall'amarezza che provavo non appena
ripiombavo nella mia vergogna solitaria. Mio Dio, la solitudine del somaro
nella vergogna di non fare mai quello che è giusto! E il desiderio di
fuggire... Ho provato presto il desiderio di fuggire. Dove?
Non è chiaro:
diciamo fuggire da me stesso, tuttavia dentro di me. Ma in un io che fosse
accettato dagli altri.
Daniel Pennac, Diario di
scuola, trad. di Yasmina Mélaouah, Feltrinelli, Milano 2008
1.riprovazione:
disapprovazione,
critica.
2.refrattario:
che oppone
resistenza, restio.
3.disortografico:
con
difficoltà
a tradurre correttamente i suoni che compongono le parole in scrittura.
4.incline:
predisposto,
propensa
5.parascolastica:
che
affianca
e integra l'attività didattica svolta a scuola.
6.inattitudine:
incapacità.
7.invalicabile:
insuperabile,
insormontabile.
8.esorcizzare:
scacciare.
9.aliossi:
gioco in
cui piccoli ossi vengono utilizzati come se fossero dadi.
10.ridanciano:
allegro,
gioviale.
11.teste
di serie: i
migliori.
12.insolenza:
mancanza di
rispetto per gli altri, impertinenza.
UN ALUNNO PER
NIENTE PROMETTENTE
Non sempre le persone che hanno avuto
successo nella vita hanno dimostrato fin dalla prima infanzia di possedere
spiccate doti di intelligenza o talento. Rispondi alle domande su quanto raccontato da Pennac.
1. Gli insegnanti che giudizio danno del protagonista?
2. In che cosa Pennac era bravo da piccolo?
3. Come descrive il proprio carattere?
4. Come vive gli insuccessi scolastici?
5. Come commenta il padre le difficoltà scolastiche del figlio?
FUTURO
IMPREVEDIBILE
Daniel Pennac, da piccolo, non avrebbe mai immaginato che da grande
avrebbe amato tanto la scuola da diventare insegnante, né tanto meno che
sarebbe diventato uno scrittore conosciuto in tutto il mondo. Quale futuro
assolutamente inaspettato potrebbe toccare a te? Immagina qualcosa che adesso
ti sembra del tutto incredibile e al di fuori della tua portata e scrivi un
breve testo.
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